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Roma, “città eterna”.

Un primo brevissimo riassunto tratto dalla storia economica del cristianesimo di Philippe Simmonot ci guiderà rapidamente al punto.

Durante l’Impero di Augusto (27 a.C.) la potenza imperiale sognava veramente di dotarsi di un carattere religioso. Il culto dell’imperatore (l’adoratio) si svilupperà infatti durante i successivi tre secoli e l’immagine della potenza dell’Impero finirà con l’essere proiettata addirittura nel Cosmo. L’imperatore verrà così trasformato nell’intermediario tra il Dio trascendente e gli esseri umani. Di fatto verrà elevato a Dio terreno che successivamente il Dio trascendente cristiano utilizzerà per governare il mondo.

L’imperatore a quel punto verrà definitivamente divinizzato ed una religione monoteista che segnerà la fine delle vecchie religioni pagane si renderà indispensabile per l’Impero Romano. Se non fosse esistito il monoteismo ebraico, qualcuno lo avrebbe dovuto quindi inventare. Ma il problema era proprio il fatto che il monoteismo fosse ebraico e visto che per quella religione il popolo eletto da Dio era ebraico, l’Impero Romano non poteva farlo proprio.

Per farla breve ed evitare di riportare qui tutta la vicenda del cristianesimo con le annesse problematiche legate allo gnosticismo, diremo soltanto che quando il prefetto romano Ponzio Pilato, presente in Palestina all’epoca di Gesù di Nazareth, sente dire dagli Ebrei che c’è un signore che sostiene di essere il figlio di Dio e che per questo deve morire, gli prende un vero colpo.

Lasciando per il momento da parte il lato ebraico della vicenda piuttosto complesso, per i romani presenti in Palestina in quel momento, il significato del termine “figlio di Dio” era certamente un serio problema per Pilato, che infatti si allarmò enormemente pensando che Gesù si proponesse quale  concorrente di Cesare.
Avrebbe forse potuto pretendere di essere il padrone del mondo che in quel momento coincideva con l’intero Impero Romano, cioè l’universo mondo allora conosciuto?
Augusto in persona pretendeva che “l’impero avesse raggiunto i limiti del mondo”, dato che le conoscenze geografiche all’epoca glielo facevano seriamente credere.

 

 


Dio è morto!

Friedrich Nietzsche (1844-1900)

Tuttavia, prima di proseguire il nostro rapido viaggio in ordine cronologico, dobbiamo fare obbligatoriamente un salto in avanti di quasi 2000 anni per approdare momentaneamente a quel: “Dio è morto!” di Friedrich Nietzsche, chiarito più tardi da Martin Heidegger, entrambe com’è noto filosofi tedeschi.
Come suggerisce Heidegger, il messaggio di Nietzsche trasforma il nichilismo nel destino della storia dell’Occidente. E citando uno scomodo storico delle idee morto ammazzato a 42 anni per motivi non meglio chiariti, diremo che: “...Questa forza trascinante dell’Occidente su tutti i popoli che esistono oggi sulla terra rappresenta, come osservava Heidegger, la sua seconda caratteristica essenziale. Onde si può ormai affermare che, in effetti, il nichilismo rappresenta il destino dell’Occidente e dei popoli che penetrano nella sua sfera di influenza, cioè il destino dell’umanità nel suo intero...”.

Martin Heidegger (1889-1976)

Facciamo però notare che l’affermazione “Dio è morto” in realtà intende significare che tutta la metafisica è morta. Un’elaborazione che trova le sue radici in Germania già con Kant, la cui “Critica della ragion pura” viene per questo motivo messa addirittura all’Indice dalla Chiesa cattolica romana.

E, a questo punto, cominciano a cascare parecchi ‘asini’ perché, a differenza di quanto la nostra cultura romana dominante ci insegna, anche il nostro più recente “custode dell’essereEmanuele Severino, spentosi a Gennaio del 2020 e definito in un articolo del quotidiano La Stampa del 22 Gennaio 2020uno dei più celebri filosofi italiani che ha speso una vita contro il nichilismo in difesa della metafisica delle origini” è stato costretto nel 2001 a pubblicare un libro dal titolo: “Il mio scontro con la Chiesa”, per via delle vicende che, come scrisse lo stesso Severino: “dal 1961 al 1970 hanno condotto la Chiesa cattolica a dichiarare ufficialmente l’opposizione tra il mio pensiero filosofico e il cristianesimo”. Prosegue ancora Severino: “Era inevitabile che ciò accadesse; i miei scritti, già allora, non solo mettevano in discussione il cristianesimo, ma mostravano la sua appartenenza all’alienazione essenziale in cui cresce la storia dell’Occidente. Mostravano che il cristianesimo appartiene alla storia del nichilismo – nel suo significato determinato ed essenziale che questa parola assume nei miei scritti e che differisce radicalmente da ogni significato che tale parola presenta nella cultura degli ultimi due secoli.”.

Emanule Severino (1929-2020)

Immaginate ora questo quadretto: i filosofi europei della fine dell’Ottocento e dei primi del Novecento dipingono il cristianesimo come appartenente alla storia del nichilismo, dicendoci addirittura che il nichilismo rappresenta il destino dell’Occidente e dei popoli che penetrano nella sua sfera di influenza, cioè il destino dell’umanità nel suo intero. Ed immaginate a questo punto la Chiesa cattolica che non riesce a farsene una ragione e mette all’Indice tutto ciò che può nuocerle. Logicamente, per gli eredi della cultura cattolica romana la situazione sarebbe dovuta diventare perlomeno fonte di riflessione pubblica rispetto al verbo diffuso pubblicamente per 2000 anni, anche perché non si trattava di parole al vento uscite dalla penna di personaggi niente affatto eruditi. Ebbene, niente di tutto questo è accaduto ed è bastato semplicemente fare finta che si trattasse di semplici fake news (oggi le si chiamerebbero così) per mettere all’Indice (Link in italiano) tutto ciò che non era coerente con il Verbo ecclesiastico.


Nichilismo

Per capire meglio questa faccenda del nichilismo, che noi per semplificare definiremo come lo stato collettivo che corrisponde alla psicologia individuale di chi è prossimo al suicidio, bisogna però tornare per un momento alle origini del cristianesimo.

Che cosa significa affermare che il cristianesimo appartiene alla storia del nichilismo?

A differenza dei grandi eruditi europei e romani, noi non pretenderemo che chi ci legge si senta costretto ad approfondire gli scritti di  Nietzsche, Heidegger o il Ritorno a Parmenide di Emanuele Severino, che richiederebbero ovviamente un ventaglio di conoscenze filosofiche sulla storia della metafisica occidentale a dir poco monumentale. Ci limiteremo quindi a riassumere in forma comprensibile alcuni chiarimenti che a nostro avviso si dimostrano alla portata di tutti coloro i quali intendano capire meglio la questione del nichilismo.

Tornando al nostro scomodo storico delle idee morto ammazzato a 42 anni, quest’ultimo ha affermato in uno scritto pubblicato nel 1981 che: “lungi dal rappresentare una realtà esclusivamente occidentale, il nichilismo è uno strumento appartenente all'Occidente come a culture extraoccidentali. Rimane ancora da chiarire in che senso il nichilismo abbia inciso in maggiore misura sulla storia della civiltà occidentale che su quella di altre civiltà.”. Ohibò!

 

Ioan Petru Culianu (1950-1991)

Facendo riferimento allo “status nascens”  definito nel 1976 da Francesco Alberoni cita quindi le parole dello stesso Alberoni: “Lo stato nascente rappresenta un momento di discontinuità sia sotto l’aspetto istituzionale, sia sotto l’aspetto della vita quotidiana. Lo stato nascente ha una certa durata: col suo inizio si interrompono le caratteristiche delle relazioni sociali istituzionali e le forme della vita quotidiana, e il sottosistema sociale che ne è coinvolto entra in un nuovo stato con proprietà particolari. Ad un certo punto lo stato nascente cessa e il sistema sociale ritorna nell'ambito della vita quotidiana e delle forme istituzionali, però dopo aver subito una trasformazione.”, il nostro autore afferma quindi che: “perché si crei uno «stato nascente» c'è bisogno che qualcosa corroda lo stato precedente, altrimenti non si sentirebbe la necessità del nuovo…Basterà dunque rivolgersi a quei momenti della storia dell'Occidente in cui l’attività nichilistica arriva ad un punto di culmine, per individuare anche il contenuto ideologico dei passaggi di stato che la nostra civiltà ha subito...”.

Con: "civiltà occidentale" il nostro autore intende quell'insieme di norme nato dalla fusione fra la predicazione cristiana, la cultura romana è la legge mosaica, ovvero le tre componenti principali che hanno plasmato l'Occidente fino alla sua condizione attuale.

Ma a quanto sostiene sempre il nostro autore: “l'avvento del cristianesimo coincide - e non a caso - con la proliferazione del nichilismo in tutte le forme, ideologiche e pratiche...” riferendosi naturalmente allo gnosticismo di cui è stato grande studioso. E sempre secondo il nostro: “l'unico mezzo per determinare la fine di uno stato nascente è quello di osservare il momento in cui il nichilismo che, all'inizio di questa trasformazione, è stato messo in moto, viene completamente disincentivato.”.

Il quadro a questo punto dovrebbe essere più chiaro.  Se gli ebrei, già in grande fermento di fronte ai romani che addirittura nel 70 d.C. distruggono il loro Tempio di Gerusalemme, sono sconcertati perché si sentono talmente minacciati che arrivano anche a dubitare di essere ancora protetti dal Principe degli Angeli, si può comprendere perché proprio in Palestina all’interno del popolo eletto dal Dio nel vecchio testamento si metteno in moto una serie di controversie che riguardano la trascendenza che si diffondono a macchia di leopardo tra le popolazioni locali. Questa situazione finisce per provocare un sentimento che in una parola si definisce: nichilismo. In quel preciso momento lo spirito ebraico detto molto volgarmente era il seguente: meglio morti, che sottomessi all’Impero Romano, che di fatto non è nient’altro che il governo dell’universo mondo allora conosciuto.

Ma il nostro autore, più avanti, rivela che anche: “...il cristianesimo medievale continua ad esercitare una critica nei confronti del mondo e a privilegiare la trascendenza (e) si può dire che lo stato nascente si avvia verso la sua fine soltanto nel XIV secolo e non scompare se non all'inizio del XV, quando inizia l'ideologia del Rinascimento.”. Ohibò! Ohibò! Proprio la stessa cosa che avete studiato nelle scuole del Regno.

E non è ancora finita, perché:”...non appena la civiltà rinascimentale iniziò a dare i suoi frutti, lo stato nascente, che è uno stato di emergenza, fu proclamato di nuovo a opera della Riforma...II suo avvento ha impedito che l'ideologia del Rinascimento prendesse piede a lungo… Nietzsche avverte acutamente che il processo di riforma della Chiesa solitamente chiamato «Controriforma» è stato provocato dal sorgere del protestantesimo, il quale è così, per il filosofo tedesco, duplicemente colpevole di avei suscitato una riorganizzazione della Chiesa da cui questa usciva sì frantumata, ma più potente di prima, e di aver risprofondato l'Occidente nel clima nichilistico degli inizi del Medioevo, il quale era appena stato superato dal Rinascimento.”. Ohibò! Ohibò! Ohibò!

Tutte cose risapute, diranno i sapienti detentori di Verità! E allora?


Allora torniamo indietro a Papa Silvetro I, il 33° vescovo di Roma.

 

Dalla biografia dell’enciclopedia libera Wikipedia riportiamo quanto segue: “L'incidenza politica di Silvestro fu debolissima, complice anche, di contro, la vastissima popolarità e l'altissima personalità di Costantino. Fu l'imperatore a gestire, di fatto, il potere e le attività della Chiesa per tutto l'arco della vita di Silvestro e oltre. Il Papa fu, in un certo senso, l'"uomo di Costantino" il quale, consapevole della forza che ormai stava assumendo il Cristianesimo, orientò i suoi sforzi in direzione della sostituzione degli apparati pagani dello Stato con quelli Cristiani. Per ottenere un tale risultato dovette spesso sostituirsi a Silvestro, che comunque non fu mai capace e solo raramente tentò di imporre il suo ruolo. Costantino era il capo dello Stato, ma si ritagliò anche una funzione di vescovo, e tale era considerato, specialmente in Oriente; si autodefinì "vescovo dei vescovi". In questo ruolo l'imperatore intervenne in prima persona per ricomporre le diatribe che scuotevano la Chiesa al proprio interno. Scopo della sua azione fu quello di evitare che all'interno del cristianesimo si creassero delle correnti. I dissensi e le discussioni teologiche ne avrebbero minato l'unità e, perciò, la sua stessa forza politica.”. Si capisce che l’imperatore Costantino, quello del famosissimo Concilio di Nicea del 325 d.C., era di fatto il vero vescovo di Roma.

Un Imperatore romano quindi vescovo di Roma?

L’imperatore che diventa papa


Nel 325 vescovo di Roma era Silvestro I. Ma Silvestro, come lo definisce Rendina (https://it.wikipedia.org/wiki/Claudio_Rendina), è un “uomo di paglia di Costantino” ed è quindi quest’ultimo, non il papa, ad aprire, presiedere e guidare i lavori del concilio che non solo approva il Credo della nuova religione (nella cui formula appare per la prima volta il termine “cattolico” riferito alla Chiesa), ma ne definisce alcuni caratteri fondamentali…Qui sono fissati due tratti tipici della nuova religione: la presunzione di infallibilità, che soltanto può legittimare la distinzione fra “ortodossi” ed “eretici”, fra la Chiesa come sinonimo di verità e chi, allontanandosi da lei, cade nell’errore; e l’intolleranza che prefigura già dal 325 il futuro istituto dell’inquisizione perfino nel tipo di sanzioni (il rogo dei libri e la messa a morte degli eretici).
Ma soprattutto si stabilisce quell’intreccio fra Chiesa e Stato, fra potere spirituale e temporale, reso anche fisicamente dal ruolo dell’imperatore come presidente del Concilio, che distanzia la Chiesa cattolica dal cristianesimo delle origini, spirituale e avversato dall’impero.”.
Da non dimenticare che l’aggettivo cattolico proviene dal greco καϑολικός (catolicos) che significa «universale». Quindi la Chiesa cattolica è la Chiesa universale e, stando a quando già detto in precedenza, Augusto pretendeva che “l’impero avesse raggiunto i limiti del mondo”.

Non fosse mai che nessuno di noi avesse capito che l’Impero romano si fosse riciclato in una pura guida spirituale del mondo terreno, dapprima conquistato e poi pacificato dalle legioni romane (la pax romana) e che quindi il successivo Sacro Romano Impero non sia stato nient’altro che il degno erede del primo grande Impero bellico al quale ha fatto seguito la divisione dei poteri, ovvero la distinzione tra potere spirituale e potere temporale? A cose fatte, per via degli esclusivi motivi di potere che provengono dall’essere riferimento in terra del Dio trascendente, un potere spirituale al quale viene sottomesso il potere temporale avrebbe un senso.

Al momento un esempio nell’intorno contemporaneo che può rappresentare il modello dello stato duale del Sacro Romano Impero è probabilmente, con le debite eccezioni, quello che vige nella repubblica islamica dell’Iran.

Ma siamo così certi che in EuRoma le cose siano andate diversamente?

Ed oggi a che punto siamo?